24 Giu 2024

Eugenio Monti, un Olimpionico vero

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Nella settimana dell’Olympic Day riviviamo uno dei più bei gesti di fair play della storia dei Giochi Olimpici

Il 23 giugno di ogni anno si celebra l’Olympic Day, il giorno in cui il Comitato Olimpico Internazionale fu fondato alla Sorbona di Parigi, dove Pierre de Coubertin plasmò la rinascita degli antichi Giochi Olimpici, appunto, il 23 giugno 1894. 

Il Barone de Coubertin era alto solamente 1.62, ma, in molti sensi, è stato un gigante del XX secolo. Nato nel 1863 è diventato un campione della gente comune, sposando valori come la libertà, l’uguaglianza e la fraternità tra le persone. 

Un nome indissolubilmente legato all’ideale dell’Olimpismo, oggi distillato nei tre valori Olimpici di amicizia, eccellenza e rispetto. La celebrazione, dunque, della passione e la determinazione necessarie per entrare nella storia dei Giochi a Cinque Cerchi.  

Nel giorno Olimpico per eccellenza, vogliamo quindi ricordare uno dei più bei gesti di fair play visti nella storia delle Olimpiadi e che riguarda il famoso “bullone” di Eugenio Monti.

 

Una storia di velocità

Eugenio Monti è stato un personaggio indimenticabile per lo sport italiano, ma non solo. Capelli rossi, occhi espressivi, energia da vendere e soprattutto grandissimo coraggio. 

Nato a Dobbiaco il 23 gennaio 1928 (ma cortinese doc), ha speso la gioventù sugli sci, dove è riuscito anche a vincere per due volte i Campionati Italiani in Gigante nel 1949 e in Slalom l’anno dopo, rivaleggiando con il leggendario Zeno Colò (ma questa è un’altra storia). Sembrava l’inizio di una grande carriera. Macché: rottura dei legamenti e poi un altro incidente. Tutto finito, almeno per lo sci. 

Il richiamo della velocità era però troppo forte. Serviva un piano b, nel vero senso della parola. Monti stacca gli sci e inizia a spingere forte il suo bob. Una disciplina che lo trasforma in icona.

 

Finalmente le Olimpiadi

Nel 1954 arrivano le prime vittorie e i primi sviluppi tecnologici nell’uso dei materiali: Monti non è solo un abile pilota nel budello ghiacciato, ma è anche veloce nel capire quali materiali utilizzare per rendere il mezzo sempre più performante. Perché, oltre al bob, la passione della velocità prende Eugenio anche in auto. 

Ai Giochi di casa, a Cortina nel 1956, vince due medaglie d'argento: nel due (con il compagno di sempre Renzo Alverà, con il quale vinse anche l’oro iridato nel due nel 1957) e nel quattro (con Girardi, Mocellini e Alverà). 

A Squaw Valley 1960 il “Rosso Volante”, come lo ha ormai ribattezzato Gianni Brera, non partecipa ai Giochi statunitensi, ma non certamente per colpa sua. Le Olimpiadi quell’anno furono precedute da una polemica scoppiata quando il Comitato Organizzatore decise di non costruire una pista da bob, visto che solo nove Paesi avevano indicato l'intenzione di parteciparvi. Il 1960 è diventata così l'unica volta in cui il bob non è stato incluso nel programma Olimpico.

 

Innsbruck 1964 e l’immortalità sportiva

Ma non sono stati i successi, a consegnare Monti alla Storia, quella con la S maiuscola.  

Alle Olimpiadi di Innsbruck 1964, il Rosso era Portabandiera italiano in virtù di una già più che brillante carriera. Sembrava una storia con un finale già scritto.  

Il 31 gennaio Monti e Siorpaes, nella gara di bob a due, lottano contro i connazionali Zardini e Bonagura e contro l’equipaggio formato dai britannici Nash e Dixon. La competizione è spietata: dopo due discese Monti è terzo, i britannici primi.  

Non è il risultato che sperava, ma è proprio lui ad averci messo lo zampino. Perché in quel pomeriggio Monti fu l’artefice del proprio risultato. Durante la prima manche l’asse posteriore dello slittino degli inglesi si spezzò e i britannici non avrebbero più potuto continuare. Monti se ne rende conto immediatamente, e senza dire una parola invia agli avversari un bullone di ricambio. Gli inglesi ringraziano e volano al primo posto. 

Le gerarchie non cambieranno più: Monti chiude terzo, Nash primo. La medaglia dell’italiano è la meno pregiata, in apparenza. “Grazie a Monti siamo in testa, il suo gesto leale è la cortesia più grande che io abbia mai ricevuto come sportivo in vita mia”, dice Nash a fine gara. La stampa italiana critica invece il gesto e Monti risponde: “Nash non ha vinto perché gli ho dato il bullone. Ha vinto perché è andato più veloce”

 

Finalmente oro a Grenoble 1968

A Grenoble 1968, ormai quarantenne, Monti chiude la sua carriera raggiungendo quell’oro sempre sfuggito in precedenza vincendo nel bob a due e a quattro. Nel due con Luciano De Paolis sia nel quattro, con lo stesso De Paolis, Mario Armano e Roberto Zandonella.  

Una maniera unica e indimenticabile di chiudere la sua carriera Olimpica. Un uomo che diventa leggenda, una storia che sopravvive all’usura del tempo. La pista di Bob di Cortina è infatti dedicata alla memoria di uno dei suoi più illustri sportivi.  

Il Saint Moritz Bobsleigh Club, il primo club di bob della storia, gli dedicò inoltre un monumento, chiamato Monti's bolt (il bullone di Monti), posto in uscita della curva 4 (Sunny Corner) del celebre tracciato Olympia Bobrun St. Moritz–Celerina, proprio in ricordo del gesto compiuto per Nash e Dixon, soci del club elvetico.  

Comunque lo si guardi, il gesto di Monti è sicuramente uno dei più belli e significativi della storia Olimpica. Il competere lealmente che diventa più importante del vincere, rispettando gli atleti contro cui si gareggia, che sono avversari solamente in pista, ma mai nella vita. 

Un gesto che, nel periodo dell’Olympic Day, non ci stanchiamo di celebrare. 

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